Ciak, si gira. Saffo per sempre. (Esegesi dell’ode 31V di Saffo)

In una precedente pubblicazione (Salvami, Afrodite, bench’io non voglia. L’enigma millenario dell’Ode Sublime, DE FREDE, Napoli, 2012, pp. 371-380), speravo di integrare la porzione mutila della lirica 31 V nei termini rappresentativi: operazione della quale sono tuttora persuaso, pur con i limiti e le riserve del caso e una sincera disponibilità a interpretazioni differenti; e se è vero che nel-la lettura del testo sia legittimo qualche dubbio, confesso di avere pensato,  a distanza di qualche an-no, a una linea esegetica di poco discosta ma non del tutto originale. La traduzione del testo greco è riprodotta qui di seguito segnando in corsivo l’integrazione proposta.

Mi pare simile a dèi quell’uomo/ che di fronte a te siede e da presso/ ti ascolta mentre parli dolcemente/                                                                                     e ridi sensualmente; questo mi sconvolge/ il cuore nel petto non appena ti veda:/ così non mi resta più voce/ ma la lin-gua mi si frange;/ sottile d’un tratto un fuoco s’insinua,/ con gli occhi nulla vedo e ronzano le orecchie/, e un sudore su di me si riversa/ e un tremore tutta mi scuote,/ allora più verde dell’erba son’io/ e poco lontana da morte                                                                                                          [mi] sembro essere;/ ma tutto si può sopportare,/ [che un miserabile infatti]/ [diventi felice per volere di dèi]/                                                                                                                                                                         [è possibile: tu, invece, Afrodite, salva]/ [me bench’io non voglia].

Nella situazione rappresentata dall’ode, Saffo avverte una percezione audio-visiva particolarissi-ma nel momento in cui, quasi a distanza elusiva, scorge un’allieva cantare una melodia soave e ar-moniosa. Accanto a lei, un giovane si inebria alle dolci note di quella, assaporando una beatitudine celeste! Di questo personaggio, però, non si conosce niente altro e l’uso stesso di quel pronome re-lativo ’’Oττις, alquanto generico, del secondo verso sembra non aggiungere alcun elemento di i-dentificazione: anzi, ne accentua l’anonimato, prima di evaporare del tutto dal ménage triangolare. A me pare strano, in verità, che il personaggio di una lirica non proferisca alcuna parola né inter-venga nella scena poetica, quasi fosse un uomo dello schermo: ho quasi il sospetto, pertanto, che l’estasi divina assaporata dall’anonimo interlocutore sia modalità responsoriale tutt’altro che mi-surata, niente affatto composta e meno che mai virile; sarei invece propenso ad attribuire alla più in-tegralistica sensibilità femminile una dinamica emozionale così intensa, del resto amplificata di lì a poco mediante i sintomi di una sindrome clinica.

La conferma sta proprio nell’eccesso emotivo della risposta do Saffo, che a quell’incanto di splendore, di eleganza, di armonia e di bellezza, creato dalla sua stessa dedizione pedagogica e sentimentale, reagisce con una desistenza organico-funzionale parossistica così mirabilmente de-scritta a partire già dalla strofe successiva.

E questo crescendo responsoriale si delinea man mano che si assottigli la distanza materiale e psicologica dall’oggetto del desiderio e venga parallelamente destituito da qualsiasi funzione il per-sonaggio anonimo iniziale. Che per tale motivo, infatti, calcherebbe le scene della fictio poëtica per mere esigenze artistico-comparative: per confrontare cioè la concezione dell’amore vigente nell’u-niverso maschile con quelle contrapposta del cosmo femminile.

Ma è capace la concitazione dell’animo di alterare e di agitare il ritmo solitamente monotonico e uniforme dell’endecasillabo eolico, così sapientemente regolato sul piano prosodico-ritmico? L’im-pressione, pur legittima, è tuttavia momentanea e non contraddittoria, in quanto la sequenza pa-ratattica della descrizione sindromica calza a pennello con il decorso simultaneo della fenomeno-logia clinica, senza insistere tanto su rotture improvvise della musicalità naturale dell’ode; semmai l’illusoria e momentanea variatio rhytmica può forse essere espediente inteso a decantare il possibi-le monolitismo effusivo della monodia. Inoltre l’indole pacata e modulata del metro saffico viene ri-presa e corroborata dalla frazione iniziale residua, troppo residua, purtroppo, del verso 17 – forse conclusivo, secondo l’autore Anonimo Del Sublime – che sembra accennare o a una riflessione etica personale o a una sentenza gnomica o alla rassegnazione amorosa, come del resto sarebbe naturale per una devota sacerdotessa della teologia afrodisia.

Se allora ci si ponesse domande intorno al numero degli attori della fiction qui rappresentata, si potrebbe inferire che essi siano: tre, o due, o uno. In apparenza.

È mia personale convinzione, invece, che la risposta esatta potrebbe essere la seconda, visto che il personaggio maschile non fa alcunché, se non inebriarsi di beatitudine al canto dell’amata; e poi? Poi, poi che cos’altro fa? Niente, assolutamente niente.

Dunque, i personaggi operanti sulla scena sarebbero, di fatto, due: Saffo e l’allieva.

Ma di certo neppure questa parla e nemmeno rivela qualcosa di sé: canta e fa innamorare di sé; e poi che cos’altro aggiunge alla scena? Niente, assolutamente niente, come il suo immaginario cor-teggiatore.

Ritengo ancora più probabile, pertanto, che l’ode, pur avendo una struttura tridimensionale (e-sordio emozionale, risposta fisiologica, elemento di riflessione) sia universa: che, cioè, abbia un’u-nica protagonista, in quanto la materia stessa della lirica e lo spirito che la informa sono rivolti in u-na sola direzione: quella, ossia, dell’unica protagonista reale, e cioè di Saffo che veda, o che senta, o che rifletta (o che si rassegni).

Ma comunque la si legga, questa ode, già esempio mirabile di splendore di arte e di sentimento, appare ancora più suggestiva all’indagine di chi vi lavori o ne fruisca, proprio per la difficoltà di op-zionare interpretazioni; e forse tutto ciò è un segnale di quanto universale sappia essere un prodotto originale di poesia quando possa rappresentare un modello per qualsivoglia situazione lirica.

Prof. Walter Iorio

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