SE IL GENITORE OFFENDE IL DOCENTE, GLI PAGA I DANNI

La Cassazione per la prima volta ha statuito che “quella virgola” debba stare dopo la parola docente e non dopo la parola “offende”,  per cui ha riconosciuto il diritto al risarcimento danni per l’insegnante ingiustamente denigrato dai genitori.

Ricordiamo che il diritto di critica,  pur trovando matrice nella tutela costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero, deve essere  esercitato entro precisi limiti, individuati essenzialmente: nel limite dell’interesse pubblico alla conoscenza di fatti e di opinioni; nel limite della continenza espressiva e in quello della verità dei fatti posti a fondamento della critica.

Pertanto se si raccontano fatti non veri, conditi da  espressioni denigratorie, il risarcimento danni è assicurato.

Nel caso che ha dato origine alla sentenza della Cassazione civile n. 9059/18, una docente della scuola primaria era stata bersaglio di una campagna denigratoria da parte di una famiglia, che era riuscita a convincere anche altri genitori fino a far sottoporre la poverina a visita psichiatrica e ad un procedimento penale per maltrattamenti e lesioni, uscendo però indenne da entrambe le prove.

Nonostante le aggressioni verbali negli incontri scuola-famiglia e perfino a mezzo fax firmato dal bambino, ma ovviamente attribuibile ai genitori (il  bambino  al massimo avrebbe potuto inviare alla sua maestra  un messaggino WhatsApp e non certo un preistorico fax) sia il Tribunale, prima,  che la Corte di Appello, poi,  avevano dato torto all’insegnante che aveva adito la Magistratura per avere un risarcimento economico da parte della famiglia che aveva ordito la campagna denigratoria e diffamatoria nei suoi confronti. I giudici di merito aveva motivato il rigetto con l’assenza della prova della lesione alla reputazione dell’insegnante.

E’ dovuta intervenire la Corte di Cassazione a correggere le cose e a dare ragione alla maestra sottolineando un importante principio nomofilattico: «il giudice civile non può ignorare il preoccupante clima di intolleranza e di violenza, non solo verbale, nel quale vivono oggi coloro a cui è demandato il processo educativo e formativo delle giovani e giovanissime generazioni»

Per i giudici della terza sezione civile della Cassazione  il danno quindi  c’è e va ora liquidato sulla base del «grave e duraturo sentimento sul piano emotivo e relazionale, di disistima, di vergogna e di sofferenza del soggetto leso».

All’ultimo round, quindi, la maestra ha vinto la sua battaglia, sia sulla famiglia che voleva farla passare per un mostro, che sui giudici di merito, che non le avevano riconosciuto Giustizia.

La Cassazione finalmente tutela lo status di docente.

L’importanza di una virgola.

 

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