Laurea e 24 cfu costituiscono titolo valido per l’inserimento nella II fascia delle graduatorie di istituto?

Cosa dicono i giudici

La risposta a tale quesito è meno scontata di quanto si possa credere. Infatti, in merito a tale peculiare fattispecie si

riscontra un orientamento del tutto ondivago da parte dei giudici di volta in volta chiamati a pronunciarsi.

In giurisdizione ordinaria – e cioè in quei giudizi avviati innanzi al Giudice del Lavoro – si è registrato un

orientamento a più riprese favorevole alle tesi dei laureati (con 24 cfu) che chiedevano l’inserimento nella II fascia

delle graduatorie di istituto.  E ciò a partire dalla ormai nota Sentenza del Tribunale del Lavoro di Roma (22 marzo

2019) con la quale il giudice adito evidenziava che “la ricorrente è in possesso di un titolo abilitante

all’insegnamento costituito dal diploma di laurea e dai 24 cfu…” e che le complesse norme dell’ordinamento

scolastico “vanno lette in senso costituzionalmente orientato”, in modo, cioè, da consentire ai laureati con 24 cfu di

inserirsi nella II fascia delle graduatorie di istituto. Tale ricostruzione ermeneutica operata dal giudice capitolino

nella primavera scorso trovava piena conferma in provvedimenti di accoglimento adottati da altri Tribunali del

lavoro sul territorio nazionale (vedasi Tribunale di Cassino di maggio 2019 e Tribunale di Siena di agosto 2019),

tendenza che attualmente pare consolidarsi.

D’altro canto, in giurisdizione amministrativa – e cioè in quei giudizi avviati innanzi al Tribunale Amministrativo

Regionale competente (TAR) – è sin da subito emerso, invece, un orientamento di netta chiusura rispetto alle

richieste dei laureati.

Infatti, aderendo all’orientamento negativo espresso già in precedenza dal Consiglio di Stato su questioni affini, il Tar Lazio nel mese di maggio 2019, con sentenza, ribadiva l’impossibilità per gli stessi laureati (con 24 cfu) di potersi inserire nella II fascia delle graduatorie di istituto, in quanto il possesso dei predetti titoli “deve ritenersi che non sia equiparabile al titolo di abilitazione all’insegnamento” e ancora che “Nessuna disposizione di rango primario o secondario ha disposto l’equiparazione o l’equipollenza del titolo di laurea all’esito favorevole dei percorsi abilitanti”.

Insomma, una visione diametralmente opposta della medesima questione da parte di giudici diversi e, quindi, un bel rompicapo per i docenti e, soprattutto, per i legali che si trovano a dover tutelare i diritti dei propri assistiti, cercando di intraprendere (indovinare?) la strada giusta – al momento giusto.

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